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d'annunzio and his praise to nepente

Gabriele D’Annunzio experienced the island of Sardinians, and expressed in more than one occasion his praises to the fierceness of the people living here.


D’Annunzio was also welcomed in a house in Oliena, where it was appreciated not just for his fame, but because of the memory of his father that in ancient Abruzzi welcomed to his house an old Sardinian, and his host in Oliena, was the son of that old man. And they drank togheter, 

they drank Nepente, and d'Annunzio didn't forget about that.


Here's what d'Annunzio wrote about his stay in Barbagia, in the prefaction of the book "Le osterie d’Italia" di Hans Barth, who became rightly famous because, thanks to it, Oliena wine for the first time, was known outside Sardinia:

"Ma se pur vorrete sostare alla foce d’Arno, qui dove fra tanta acqua dolce e amara vive il vostro amico scandolezzatore e attende alla sua opera corruttrice che anche una volta è per offendere la veneranda virtù dei contemporanei, io vi prometto di sacrificare alla vostra sete un boccione d’olente vino d’Oliena serbato da moltissimi anni in memoria della più vasta sbornia di cui sia stato io testimone e complice. 

 

Non conoscete il Nepente d’Oliena neppure per fama?

Ahi, lasso!

Io son certo che, se ne beveste un sorso, non vorreste mai più partirvi dall’ombra delle candide rupi, e scegliereste per vostro eremo una di quelle cellette scarpellate nel macigno che i Sardi chiamano Domos de Janas, per quivi spugnosamente vivere in estasi fra caratello e quarteruolo. Io non lo conosco se non all’odore; e l’odore, indicibile, bastò a inebriarmi. Eravamo clerici vagantes per un selvatico maggio di Sardegna, io, Edoardo Scarfoglio e Cesare Pascarella, or è gran tempo, quando giungemmo nella patria del rimatore Raimondo Congiu piena di pastori e di tessitrici, ricca d’olio e di miele, ospitale tra i Sepolcri dei Giganti e le Case delle Fate. Subito i maggiorenti del popolo ci vennero incontro su la via come a ospiti ignoti; e ciascuno volle farci gli onori della sua soglia, a gara.

Ah, mio sitibondo Hans Barth, come le vostre nari sagaci avrebbero palpitato allorchè il rosso Nepente sgorgò dal vetro con quel gorgoglio che suol trarvi dal gorgozzule quei "certi amorevoli scrocchi" - parla il nostro Firenzuola! - Avete nel cuore qualcuna di quelle Odi Purpuree di Hafiz che cantano il vino e la rosa? Ci parve che l’anima stessa dell’Anacreonte persiano emanasse dalla tazza colma, col colore del fuoco e con l’odore d’un profondo roseto. Certo, chi beve quel vino non ha bisogno d’inghirlandarsi. Il poeta epico di Villa Gloria, che allora allora col Morto de Campagna e con la Serenata era entrato nell'arte giovanissimo maestro per la porta della perfezione, non ebbe cuore di respingere un dono di ospitalità  così fatto. E io, ebro già  dell’odore, lo pregavo di bere per me; e simile lo pregava il nostro compagno. Cosicché per ogni dimora egli ritualmente votava tre tazze. E di tre in tre compose nel suo cuore le terzine di molti mirabili sonetti che non conosceremo giammai.

 

Ora accadde che nell’ultima casa, affacciata sopra un uliveto più bello e più santo di quelli che ombrano la vita di Delfo, domandando l’ospite a ciascuno di noi notizie del nostro paese natale, io fossi da lui riconosciuto come il figlio del signore che nel lontano Abruzzo per singolari vicende l’aveva accolto secondo l’antico nostro costume liberale. Commosso dal ricordo sino alle lacrime, se bene avesse un occhio solo, egli si profuse in carezze verso me e i compagni con tanto calore ch’io mi sentii perduto. Ma il Pasca votò anche una volta tre e tre coppe. E io m’ebbi in dono una pelle di cignale, un lungo fucile damaschinato d’argento e un caratello. Quando uscimmo per raggiungere la nostra vettura, il generosissimo sostituto era già trasformato in prisco Quirite e voleva lasciar su la via le vili brache polverose per vestire a guisa di toga illustre il cuoio irsuto. Gli persuademmo ch'egli fosse già togato. E allora meravigliosamente sragionando, come s’egli avesse consuetudine della lunga veste, faceva l’atto di accogliere al petto le pieghe della destra parte e di comporre sul braccio sinistro quella specie di tracolla che dicevasi in Roma il seno della toga. E in quel seno immaginario, pieno d’una inesausta eloquenza, fu di certo concepita primamente la Storia romana.

 

Esso poi e il Quirite si riempirono d’un letargo che durò due giorni. Ma in tutto (udite, luterano ligio alle regole papali!) la sbornia d’Oliena fu quadriurna."Iam foetet" dice Marta a Gesù, come viene tolta la pietra sopra Lazzaro giacente da quattro dì. Ma il Pasca dopo quattro d’ auliva il roseto di Hafiz. "Aduc bene olet!" Andate dunque da Monterosso di Mare a Oliena d’Oltremare, valicando il Tirreno sino al Golfo di Orosei, magari in velivolo, o stirpe di Otto Lilienthal. Son certo che lì è la meta sublime delle vostre peregrinazioni eloquenti; lì è l’estasi e il silenzio, in una Casa di Fata e in un Sepolcro di Gigante. E il ricordo di tutte le taverne laudate, dalla Verona della Luna, alla Capri di Herman Moll, sarà vanito. E, preludendo e interludendo su le canne della launedda paesana, voi canterete i versetti del salmo supremo, a imitazione di Minatchehr. A te consacro, vino insulare, il mio corpo e il mio spirito ultimamente.

 

"Il Sire Iddio ti dona a me, perchè i piaceri del mio spirito e del mio corpo sieno inimitabili.

Possa tu senza tregua fluire dal quarteruolo alla coppa e dalla coppa al gorgozzule. 

Possa io fino all’ultimo respiro rallegrarmi dell’odor tuo, e del tuo colore avere il mio naso per sempre vermiglio.

E, come il mio spirito abbandoni il mio corpo, in copia di te sia lavata la mia spoglia, e di pampani avvolta, e colcata in terra a pie’ d’una vite grave di grappoli; che miglior sede non v’ha per attendere il Giorno del Giudizio”. 

 

Ad multos annos, ilare amico, finchè non abbiate bevuto almeno tanto vin mero quanto d’acqua torba reca il Cedrino in piena di maggio per la terra ospite! Valeas foreas rubeas, multibibe doctor".

 

Ave.

Marina di Pisa, ottobre 1909 

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